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TUTTI GIÙ PER TERRA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 agosto 1997
 
di Davide Ferrario, con Valerio Mastrandrea, Carlo Monni, Caterina Caselli (Italia, 1997)
 
Uno spaccato tragicomico delle croci, assai più che delle delizie dell'Italia contemporanea: da parte di qualcuno che ha visto tutti i film di Woody Allen e di Nanni Moretti.

È un po' la caratteristica del film. Che, pure se dedicato ad uno dei maestri del free-cinema inglese, Lindsay Anderson, non assume tanto l'aspetto aggressivo di una resa dei conti generazionale. Piuttosto quella del ritratto d'ambiente. Di un giovane più disincantato che disperato, più nichilista che ribelle. In una cornice che di stimoli, di prospettive ne offre ben poche. Che abbonda di motivi di ribellione: ma diluisce nel torpore di un sistema che delle ideologie non sa ormai più che farsene.

Dal romanzo quasi cult di Giuseppe Culicchia, la sceneggiatura, i dialoghi, l'interpretazione, le cose migliori insomma del film volgono allora uno sguardo intelligente, sarcastico ma al tempo stesso quasi affettuoso su una Torino tutta presa nella sua noia di vivere. Da un'università soprattutto compresa nel tradizionale ricatto dell'esame, all'ufficio di collocamento per extracomunitari sommerso dal solito mare da pratiche assurde dove il protagonista tenta di riciclare la propria scelta di obbiettore di coscienza, Walter trascina il proprio personaggio, alla ricerca di una identificazione che non troverà probabilmente mai.

Di certi film di Moretti TUTTI GIÙ PER TERRA possiede, se non il rigore, perlomeno la grazia

Merito della simpatia dei personaggi (il padre burbero e poetico, interpretato da Carlo Monni; la zia controcorrente che impersona una sorprendente Caterina Caselli), del bravo Valerio Mastrandrea (puntualmente premiato a Locarno per la sua interpretazione) che si assume, con tanto di commento fuori-campo, tutto il peso non solo della propria pigra, spassosa (grazie Woody Allen) verginità, ma dell'intero film. Di quel modo di andarsene a cozzare quasi spensieratamente la testa contro tutti i mali del nostro tempo (la disoccupazione, la droga, la corruzione); e che è un po' (assieme alle musiche appropriatamente cannibalesche del CSI) quanto rimane in mente di TUTTI GIÙ PER TERRA.

Più di quelle sbilenche inquadrature che dovrebbero sottolineare il mal di vivere; e di un'estetica, un po' forzata nella sua presunta naturalezza, che ricorda pericolosamente proprio quel mondo pubblicitario e televisivo che Ferrario ed il suo film fuggono intelligentemente come la peste.


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